di Lucia Brighenti

L’area ex Cattoi e tutta la Fascia del Lago comprendono i paesaggi che hanno fatto da cornice alla mia infanzia e che tutt’oggi la fanno. Infatti ho abitato, nel primo dopoguerra, nella dependance dell’hotel Lido, ora demolita, e successivamente in una villetta in via F. Kafka a cinquanta metri dal lago. 

Il Lido era un luogo straordinario dove noi bambini, lì residenti, giocavamo lungo i tre bellissimi viali, due laterali con grandi ippocastani e uno centrale con palme e rose rampicanti lungo il tronco e con aiuole di sassifraghe alla base. Lì, noi bambini, facevamo furibonde battaglie con le castagne matte e prove di coraggio, la notte, attraversando i viali bui. Si facevano scorribande alla scoperta dell’hotel Lido e dei buncher tedeschi, il tutto di nascosto dalla vista del custode dell’area che “il Padrone” aveva incaricato di controllare con divieto assoluto di accesso, soprattutto la parte sud del Lido. Infatti un reticolato bellico di filo spinato interdiceva l’attraversamento, pena il rimediare graffi e rotture di vestiti, oltre che una severa punizione. 

Il parco del Lido era meraviglioso e profumato in primavera e in estate; e c’erano le lucciole, tante. 

Scalavamo gli alberi che diventavano la nostra casa.  Non c’era ancora il turismo ed il mondo sembrava bello e semplice. Poi i miei genitori, stufi di una residenza precaria in affitto, come la maggior parte dei trentini poi, hanno costruito una piccola casa in via F.Kafka, vicino al lago. Noi ragazzini abbiamo stabilito subito un rapporto empatico con il lago attraverso l’uso di piccole imbarcazioni a vela. Spesso sul lago c’eravamo solo Italo Torboli, con la sua “star” di nome polentina, ed io, con il mio piccolo “dinghy” a sfidare l’ora impetuosa del Garda e nessun altro! Il lungolago non c’era, la spiaggia non c’era e chi voleva fare il bagno penetrava, introducendosi abusivamente, fino a punta Lido, oppure alla Purfina, attraverso via Kafka che allora era di proprietà privata: non abbiamo mai impedito a nessuno di accedervi perché non ritenevamo giusto che il lago fosse di godimento solo per pochi privilegiati. 

Alla Purfina, via Kafka arrivava diritta diritta dentro il lago, senza alcuna spiaggia e, a sinistra, c’era un lungo filare di albere gigantesche che lottavano, con la loro chioma ondeggiante, contro le ore furibonde di marzo-aprile. Un canneto ospitava animali selvatici e, dentro l’acqua del lago, si poteva fare amicizia con lucci e cavedani che non dimostravano di avere nessuna paura. Poi è arrivato il lungolago, il turismo, la cartiera, poi sono arrivati i nuovi quartieri, poi i grandi alberghi, poi i surf, ed infine le ciclabili e le biciclette: Riva è diventata “Rivalandia”! 

Il parco del Lido, pezzettino per pezzettino è stato sacrificato in favore dell’economia e allora: via! file di alberi abbattuti, via la dependance dell’hotel Lido, via altri alberi per creare parcheggi e percorsi, via altri bellissimi alberi per realizzare un bruttissimo distributore di carburante……e via…. solo pochi giorni fa, via gli ippocastani che tanto erano serviti a noi bambini per sviluppare un carattere forte, utile per poi poter affrontare il mondo. Quando abbiamo visto lo scempio, a noi ex bambini del Lido, è venuto da piangere, ma ci viene da piangere anche ogni volta che osserviamo Riva dal monte Brione. Il verde meraviglioso che resta ancora nell’area che è ricompresa tra viale Carducci-viale Rovereto ed il lago è dovuto alla presenza, in passato, di antiche ville e hotel, luoghi dove godevano di quello spettacolo solo persone privilegiate e dotate di una posizione sociale elevata. 

Queste condizioni sono state la premessa fortunata per la loro conservazione. Il mantenimento di questo immenso polmone verde è anche dovuto alla prima fase dell’autonomia Urbanistica del Trentino che ha messo in salvaguardia (si fa per dire) l’intera area. Alcuni episodi edificatori recenti, di pessima fattura, hanno inferto affronto e sfregio a questo luogo bellissimo. Il luogo dove risiedo, poi, è un osservatorio privilegiato per la comprensione dei comportamenti e dei sistemi di fruizione degli utenti nell’intera area. 

Ho fatto questa lunga premessa per permettere a tutti di aggiungere alla loro, anche la mia visione degli ultimi settant’anni di fascia lago. Ho detto in premessa che ho ascoltato attentamente tutti gli interventi effettuati in videoconferenza ed ho trovato che quanto veniva indicato era proposto con il cuore. Per deformazione professionale, ho imparato che non tutto quello che ci entusiasma, o che ci sembra giusto e corretto fare sia poi la scelta migliore per l’intera comunità. 

Le proposte urbanistiche vanno fatte con la scorta di appropriate indagini che coinvolgono numerosi esperti in varie discipline. Antonio Cederna, uno dei fondatori di Italia Nostra, tenne all’università che io frequentavo, una interessante conferenza sul “Bosco di Amsterdam”. 

L’ Amsterdamse Bos, nella zona sud della città, è uno dei capolavori dell’urbanistica moderna. Dalle parole di Antonio Cederna: “Nel 1929 si mise all’opera una commissione di geologi, biologi, botanici, ingegneri, architetti paesaggisti eccetera……il bosco non doveva essere solo una foresta: doveva servire ad ogni possibile attività sportiva e ricreativa, allo svago, al riposo, al gioco, alla contemplazione, alla distensione per bambini, ragazzi, adulti. Al lavoro dello scienziato e del naturalista si intrecciò quindi strettamente quello del sociologo, dell’architetto paesaggista, dell’urbanista, del tecnico degli impianti sportivi, eccetera, affinché zone libere e zone attrezzate si distribuissero nel modo più razionale. Le meraviglie del Bosco sono difficili da descrivere. C’è il più bel bacino per regate d’Europa, lungo due chilometri: la sua scarpata settentrionale è sistemata in modo che a diversi livelli due percorsi paralleli permettono a ciclisti e automobilisti di seguire le gare, dalla partenza all’arrivo. Un enorme lago di 125 ettari, appositamente scavato, è dotato di ogni genere di attrezzature per il bagno e il nuoto. I campi sportivi (calcio, cricket, pallacanestro, hockey, atletica) occupano 40 ettari, e per i ragazzi ci sono campi di dimensioni speciali. Ci sono scuderie e un maneggio coperto, e un grande maneggio all’aperto, con determinate piante che mantengono una temperatura costante; 51 chilometri di piste per biciclette, 137 chilometri di sentieri pedonali, 16 chilometri di viali per andare a cavallo, solo 13 chilometri di strade per automobili, accuratamente separate dalle altre…  Degli “errori” commessi progettando il Bosco mi indicano la gente seduta o distesa a gruppi nella radura maggiore. “Vede?”, mi dicono “la gente non prende possesso di tutto lo spazio a disposizione, ma tende a disporsi alla sua periferia”. Non capisco. “E’ la prova -proseguono- che non abbiamo studiato abbastanza profondamente il comportamento della gente a contatto con la natura, e che abbiamo progettato questo spazio troppo grande”. “Un secondo errore -incalzano- è stato quello di tracciare una strada per biciclette tra il prato e il bosco circostante: il che “rompe la continuità dei due elementi, e impedisce alla gente di seguire l’impulso di addossarsi agli alberi.” Il Bosco di Amsterdam era, ancora negli anni sessanta, un laboratorio urbano in divenire. Ho proposto questo ultimo stimolo alla riflessione per far comprendere la complessità della materia che andiamo ad affrontare. 

Questo non ci deve spaventare, ma deve servire a fare i prossimi passi in maniera giusta, senza commettere errori e senza permettere che ci possano dire che siamo dei sognatori velleitari. Se vogliamo essere credibili dobbiamo fare sì che le nostre proposte siano inattaccabili e soprattutto le migliori per la comunità. Le trasformazioni urbanistiche devono essere necessarie, utili alla comunità, all’economia, non devono procurare ulteriori disagi, verificate circa l’impatto sull’ambiente, sull’economia, sulla popolazione e soprattutto devono “funzionare” e essere sostenibili. 

La giunta precedente e il percorso partecipato alla Variante al P.R.G. hanno espresso la volontà di fare dell’area un parco pubblico e anche la nuova sindaca ha confermato la stessa ipotesi anche se alcuni assessori hanno pareri differenti. 

Dobbiamo perciò metterci a lavorare sodo con l’aiuto di alcuni esperti, per avere più contrattualità e credibilità. Ascoltiamo anche le idee degli altri nell’ottica di una dialettica che sia la più ampia possibile visto che il procedimento del muro contro muro non porta da nessuna parte.

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